“Narrare significa creare”, diceva Pessoa, “perché vivere è soltanto essere vissuto”.
Sì, parliamo di riflessioni e tematiche differenti, ma anche in questo concetto possiamo leggere l’importanza della narrazione come forza creatrice.
Fateci caso, quante volte prendiamo determinate decisioni o posizioni su prodotti da acquistare, o fatti di attualità, perché ci sono stati raccontati coinvolgendoci emotivamente?
Succede perché si attiva il bias della narrazione, un meccanismo che ci porta a dare maggiore rilevanza a testimonianze e aneddoti su singoli casi, piuttosto che a dati numerici e statistici.
Dobbiamo ritenere quindi positiva o negativa una narrazione efficace?
Come sempre, la medaglia ha due facce!
Ai tempi del covid, ad esempio, mostrare e fare leva su casi singoli in cui gli effetti collaterali del vaccino risultavano gravi o mortali, ha sviluppato su alcuni soggetti una percezione del rischio maggiormente elevata, rispetto al reale pericolo descritto dai numeri.
In altri casi, invece, una narrazione di questo tipo può influenzare positivamente la comprensione e dunque la comunicazione, anche sul lavoro.
In azienda, per lavorare “bene” in team è indispensabile già in partenza conoscere e comprendere di cosa tratta il nuovo progetto e quali sono gli obiettivi.
Comunicare deriva dal latino “commūnis”, cioè collettivo, di interesse comune, dunque che la comunicazione sia “interesse di tutti” è già insito nel suo stesso significato.
Per rendere la comunicazione chiara per tutti è senz’altro necessario per un manager ricorrere a una narrazione che coinvolga maggiormente tutte le persone che lavorano al progetto.
Raccontare cosa si sta facendo e perché attraverso aneddoti, esperienze personali, al di là dei numeri e dei guadagni, avvicinerà emotivamente le persone al progetto, agli obiettivi, all’azienda.
L’importante è che la narrazione non vada contro i dati!
@Valentina Canta
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